venerdì 12 giugno 2009

tool n°1bis: welfare aziendale

Luxottica e i rischi dell' azienda-mamma


Durante gli anni Sessanta, nelle scuole di Ivrea moltissimi studenti erano chiamati «figli dell' Olivetti». I genitori lavoravano per la grande fabbrica di macchine da scrivere e i loro figli, appunto, avevano accesso ad una vasta gamma di benefici aziendali: colonie estive, attività sportive e culturali, ambulatori medici, premi di studio, bellissimi regali di Natale. Come è noto, l' Olivetti fu un' impresa d' avanguardia sul fronte della «responsabilità sociale» verso dipendenti e territorio. Quella tradizione si è un po' perduta nei decenni successivi ma sta ora lentamente riaffiorando in altre regioni, anche a seguito di un nuovo clima di relazioni industriali e alle sfide poste della crisi economica. Il segnale più recente ed emblematico viene da Agordo. Il Gruppo Luxottica ha appena raggiunto un accordo con i sindacati per l' introduzione di un nuovo sistema di «incentivi non monetari» ai propri dipendenti. Operai e impiegati riceveranno sconti per comprare beni di uso primario e abbonamenti sui mezzi di trasporto. E soprattutto avranno accesso a una rete dedicata di prestazioni sociali in convenzione: servizi sanitari (come cure dentistiche e accertamenti diagnostici), assistenza personalizzata (ad esempio aiuti domiciliari per la non autosufficienza), programmi educativi (borse di studio, corsi di formazione e così via). L' obiettivo è triplice: mettere a disposizione un sistema di «welfare occupazionale» che colmi le lacune pubbliche; sostenere il potere d' acquisto in tempi di crisi; promuovere le opportunità dei giovani (principalmente i «figli della Luxottica») e le loro chance di mobilità sociale. L' accordo di Agordo ha ricevuto molti commenti positivi, sia per il metodo (sindacalismo e relazioni industriali pragmatiche e responsabili) sia per i contenuti (forme innovative di sostegno alle famiglie e di solidarietà locale). In linea generale, l' apprezzamento appare giustificato ed empiricamente fondato. Negli altri Paesi il welfare occupazionale è più sviluppato che in Italia. Secondo stime Ocse, le prestazioni «non obbligatorie» erogate dalle imprese rappresentano circa il 14% della spesa sociale complessiva in Gran Bretagna, circa il 7% in Francia, Germania e Svezia e meno dell' 1% in Italia. Vi sono dunque ritardi da recuperare e ampi margini da sfruttare per questo comparto, la cui crescita può portare indubbi benefici: dall' alleggerimento della pressione sul bilancio pubblico al rafforzamento dei legami fra imprese e territori, dalla fidelizzazione dei dipendenti fino alla promozione di quella nuova economia mista dei servizi (soprattutto servizi alle famiglie) che non è ancora seriamente decollata nel nostro Paese, con effetti negativi sull' occupazione femminile e più in generale sull' eguaglianza di genere. Vi sono però almeno due caveat (attenzioni) da considerare. Il primo riguarda le implicazioni distributive del modello Luxottica. Per sua natura il welfare occupazionale accentua la segmentazione del mercato del lavoro, il divario fra chi sta dentro (in questo caso i lavoratori coperti dall' accordo e i loro familiari) e chi sta fuori. Già mezzo secolo fa i padri nobili dello Stato sociale europeo (ad esempio Beveridge o Titmuss) misero in guardia contro questo rischio, suggerendo di contenere entro limiti ragionevoli sia il welfare fiscale (esenzioni, deduzioni, detrazioni) sia quello, appunto, occupazionale. Rispetto al welfare pubblico, entrambi tendono infatti a favorire il ceto medio e ad escludere i più poveri. Il secondo caveat è di natura politica. Se i ceti medi si abituano ad avere prestazioni sociali dedicate (e presumibilmente di elevata qualità) prima che lo Stato sociale abbia consolidato una rete omogenea e decente di servizi per tutti, la costruzione di questa rete diventerà sempre più difficile. L' esperienza americana è lì a dimostrarlo, soprattutto in campo sanitario. Nei Paesi europei dove il welfare occupazionale è più ampio esiste da tempo un pavimento di protezioni omogenee. I rischi denunciati da Beveridge e Titmuss sono ancora presenti, ma le diseguaglianze nell' accesso alle prestazioni in caso di bisogno sono abbastanza contenute. Ben diversa la situazione italiana. Sanità a parte, il nostro Paese registra ancora enormi buchi (e enormi disparità territoriali) nel campo dei servizi o della lotta alla povertà. Il modello Luxottica (così come molte altre esperienze in corso di protezione sociale su base contrattuale o locale) apre una strada promettente di innovazione, ma il welfare occupazionale deve porsi come complemento e non come sostituto del welfare pubblico. Altrimenti rafforzeremo la sindrome dei «figli di»: la mobilità sociale riguarderà solo chi nasce da genitori insider, mentre agli outsider resterà sbarrato l' accesso ad alcune tipologie di servizi. Come diceva Titmusss, se il welfare pubblico si rivolge solo ai poveri, diventa presto un welfare povero, sia in termini di risorse che di qualità.



14 febbraio 2009 - Ferrera Maurizio

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