sabato 13 giugno 2009

tool n° 2: equilibrio e trasparenza nei margini di filiera

Immaginiamo di recarci in un negozio a caso, settore abbigliamento-calzaturiero. Su ogni etichetta degli articoli in vendita si legge la percentuale del margine ripartita tra i soggetti dell'intera filiera produttiva.

Si prende un capo a caso, prezzo di vendita 100€, con la seguente ripartizione:

5% tessutaio X paese x, 2,5% manufatturiere Y paese y (distinguendo chi, dove ed in che percentuale l'eventuale probabile sotto-ripartizione produttiva e manufatturiera), 89% ideatore-gestore brand-marchio W paese w, 3,5% canali distributivi Z1 Z2 paese z1 z2 (dettagliante finale incluso a parte?!?).

Ed immaginiamo che questa tracciabilità di filiera sia imposta per legge, in virtù non solo di un intervento forte e/o di un recepimento concreto a livello nazionale/regionale federalista, ma soprattutto per merito di seri accordi e severe normative comunitarie aventi come ratio di base: l'omogeneità degli standards qualitativi tra i paesi membri della comunità stessa ("ratio" che dovrebbe essere la chiave nelle analisi e nelle implementazioni dei presupposti, degli obiettivi e delle vere politiche di integrazione e partecipazione comunitaria)

Tale trasparenza immaginiamo di leggerla, di "sentirla" e di trovarla anche in tutti gli altri nostri negozi delle varie tipologie merceologiche.

Facile intuire le potenzialità di tale approccio: in ottica fiscale, della qualità lavorativa e reddituale, del benessere... ovvero in chiave responsabilità personale e sociale: le personae hanno (e al CONTEMPO sono) gli indicatori di base necessari per porre in essere comportamenti di domanda (e al CONTEMPO di offerta) responsabili, e sempre le personae hanno e sono i generatori/alimentatori di puri moltiplicatori logaritmici del benessere stesso (sia personale sia sociale).


Passiamo alla realtà.

Evitando di affrontare la filiera dell'oro nero (petrolio, cui rimando qui), perché non indicare, sulle etichette dei prodotti della filiera alimentare, 17, 23 e 60 accanto alle relative provenienze-certificazioni socio-geografiche?


I costi degli alimentari? Corrono il doppio dell'inflazione. Dati Coldiretti, Istat e Ismea

Mangiare humanum est? Mah. Un significativo bollettino statistico è appena stato trasmesso da Coldiretti, su base ISTAT : i prezzi degli alimentari sono raddoppiati ad aprile, in relazione all'inflazione. Con aumento del 2,7 %, piu’ del doppio appunto del valore medio dell'inflazione (+1,2%).

Risultato di inefficienze e di speculazioni - sostiene Codiretti - che sono costati alle tasche degli italiani 250 milioni di euro in un solo mese.

Il tasso di aumento non è certamente giustificato dai costi delle materie prime che, nello stesso periodo, registrano listini in forte calo dell’11% , vedi Ismea.

Proseguendo, noi italiani spendiamo 205 miliardi all'anno in alimenti e bevande (141 miliardi in famiglia e 64 fuori): rappresentano il 19% della spesa familiare.


In generale, per ogni euro speso dai consumatori in alimenti ben 60 centesimi vanno alla distribuzione commerciale, 23 all'industria alimentare e solo 17 centesimi agli agricoltori. I prezzi - rileva ancora Coldiretti - aumentano quindi in media quasi cinque volte dal campo alla tavola e esistono dunque ampi margini da recuperare, con piu' efficienza, concorrenza e trasparenza, per garantire acquisti convenienti alle famiglie e sostenere il reddito degli agricoltori in un momento di difficoltà economica.


15/05/2009 - Marina Martorana

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